03.07.2007 @ 09:34
FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DEL N.S. GESÙ CRISTO (OMELIA)
Peregrinazione al Getsemani – 1º Luglio 2007
Fratelli e sorelle:
Oggi ci siamo riuniti qui, nella Basilica del Getsemani, nella Chiesa delle Nazioni, il Santuario che è simbolo dell’universalità – della cattolicità – del nostro essere cristiani. Prima di entrare nella Basilica abbiamo contemplato con meraviglia il frontale di essa e il mosaico che vuole rappresentare “la sofferenza umana”. Il mosaico è un bell’ esempio del “grande libro della sofferenza”, di questo “mondo della sofferenza” nel quale viviamo, perché la sofferenza accompagna l’uomo in tutti i tempi e in tutte le parti del mondo”, e, in certo modo, “coesiste con lui” ed è “essenziale alla sua natura”. E’ la preparazione per avvicinarci al mistero che oggi celebriamo: “il preziosissimo Sangue del Nostro Signore Gesù Cristo”.
Ci siamo riuniti per accompagnare Gesù, il quale, uscendo insieme con i suoi discepoli dal Cenacolo, venne quella notte santa al Getsemani, ai piedi del Monte degli Ulivi (cf. Mc 14,26). Gesù ha scelto noi come suoi amici fedeli, come scelse Pietro, Giacomo e Giovanni; noi siamo però soltanto dei rappresentanti di tutti i cristiani sparsi per il mondo che, insieme a noi, accompagnano Gesù nell’ora della prova. Siamo i rappresentanti di tutti gli uomini che soffrono, dell’umanità e della sua storia piena di contraddizioni e di conflitti, di ingiustizie, di miserie, con piaghe e colpe da piangere, di questo interminabile fiume di sangue, sudore e lacrime, dolore, lutto, angoscia, disperazione e morte. Questa sofferenza che grida al cielo o qualche volta contro il cielo. Perché Dio permette tutto questo? Oggi Gesù ci parlerà del suo sangue, del suo dolore e del perché della sua sofferenza.


1. Accompagnare Gesù nella sua preghiera dolorosa
Abbiamo ascoltato la preghiera di Gesù: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice” (Mt 26,39; cf. Mc 14,36; Lc 22,42). E’ il calice del dolore, della sofferenza che Gesù porta su di sé a causa dei nostri peccati. Gesù si addossa la sofferenza di tutti gli uomini e prende su di sé tutto il peccato dell’uomo: “Il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53,6). E Paolo dirà: “Colui che non aveva commesso peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21).
Fu tanta la Sua sofferenza che, secondo le parole dell’evangelista Matteo, Gesù era prostrato “con la faccia a terra” (Mt 26,39) e “cominciò a provare tristezza e angoscia” (Mt 26,37). Marco ci dice che “cominciò a sentire paura e angoscia” (Mc 14,33) e che disse ai suoi discepoli: “l’anima mia è triste fino alla morte” (Mc 14,34; cf. Mt 26.38). Luca aggiunge che questa angoscia mortale si manifestò nel sudore che “diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc 22,44). Infine, l’autore della Lettera agli Ebrei ci ricorda l’agonia del Getsemani con le parole che sono scritte sul frontale della Basilica: “Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte” (Eb 5,7).


2. Amore sofferente di Gesù al Getsemani
Gesù, al Getsemani, è convinto che deve fare la volontà del Padre, anche se ciò suppone dolore e sofferenza. Lo abbiamo ascoltato: “Non come io voglio, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39) e “sia fatta la tua volontà” (Mt 26,42). Ma non lo fa’ come un atto di obbedienza cieca, come obbligato. Lo fa’ come un atto di amore totale, senza condizioni. Amore a Dio Padre e amore a tutti noi. E’ la sofferenza legata all’amore, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male. Gesù lo fa come una “dolorosa offerta” di sé stesso, che è la forma suprema di dedizione al Padre, come dirà Paolo: Cristo “ha consegnato sé stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2), offrendo al Padre “il calice del dolore”. Il Padre ha accettato di pagare un prezzo molto alto per la nostra salvezza: il sangue del Suo Figlio. “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Cristo, dunque, nel Getsemani, ha amato il mondo e l’uomo nel mondo, come dice Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).


3.Siamo stati redenti nel suo sangue
Gesù è, – come aveva annunciato Giovanni Battista – “l’Agnello di Dio che togli i peccati del mondo” (Gv 1,29). Gesù è l’Agnello Pasquale, l’agnello sgozzato dell’Apocalisse (22,1), che muore nello stesso tempo in cui venivano sacrificati nel Tempio gli agnelli pasquali (cf. Gv 19,20). E’ il sangue di questo agnello che salverà gli israeliti in Egitto, come abbiamo ascoltato nella prima lettura (Es 12,21-28). La sofferenza e la morte di Gesù, il suo sangue sparso per noi, ha avuto un senso: Egli ha pagato col Suo Sangue i nostri debiti, il riscatto di tutti è il Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, che, da solo, ci riconciliò col Padre. La nostra redenzione ha avuto bisogno di un prezzo molto alto: siamo stati “comperati a caro prezzo”, dirà Paolo (1Cor 6,20), e Pietro aggiunge che siamo stati liberati dal peccato “col sangue prezioso di Cristo” (1Pt 1,19). Abbiamo sentito nella festa del Corpo e del Sangue di Cristo le parole di Tommaso d’Aquino: Cristo “offrì a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dall’umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati”. La lettura dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato parla di “coloro che hanno lavato le loro vesti rendendole candide col Sangue dell’Agnello” (7,14).


4. Gesù ci accompagna oggi nel nostro dolore
Non c’è bisogno di dimostrare che il dolore, nei suoi diversi aspetti, tanto fisici come psichici e morali, è sempre presente nel cammino della nostra vita. E’ un fatto di esperienza quotidiana. Tuttavia, tante volte, anche noi, sentiamo la paura davanti alla sofferenza e siamo tentati di abbandonare tutto, perfino Dio. Il Signore, oggi, ripete anche a noi: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26,41). La nostra più grande tentazione non è tanto il dolore in sé, ma il fatto di non capire a che cosa serve il dolore, il suo “valore salvifico”. E allora siamo tentati di abban­donare la nostra responsabilità come cristiani, di soccombere davanti allo “scandalo della croce”, rischiamo perfino di perdere la fiducia in Dio. Al Getsemani, Gesù, oggi, ci fa’ capire che la sofferenza ha un valore in sé stessa, ha una forza salvifica. Per questo aveva rimproverato Pietro perché voleva opporsi a questo disegno (cf. Mt 16,23) e, qui, gli impedisce di usare la spada, perché deve “bere il calice che il Padre gli ha dato” (Gv 18,11). Qui, al Getsemani, capiamo che la sofferenza non può essere più uno “scandalo”, una “perdita”, un “non-senso”. E’ tutto il contrario! Il cristiano, soffrendo con Cristo e come Cristo, trova il senso della sua vita. Gesù ci dice, infine, di non aver paura, che egli sa molto bene che anche se “lo spirito è pronto”, “la carne è debole” (Mt 26,41), che la sofferenza può essere un motivo di scoraggiamento e perfino di abbandono dell’amore di Dio. Ma dobbiamo essere fiduciosi in Lui, che sempre ci darà una mano, basta che glielo chiediamo con una preghiera insistente e fiduciosa: “Vegliate e pregate” “con insistenza” come fa’ Gesù al Getsemani. Lo abbiamo ascoltato: “in preda all’angoscia, pregava più intensamente” (Lc 22,44).
Tuttavia, non possiamo che essere meravigliati dal comportamento dei discepoli scelti: essi “dormivano per la tristezza” (Lc 22,45), non “erano stati capaci di vegliare un’ora sola” con Gesù (cf. Mt 26,43), e di fronte il rimprovero di Gesù “non sapevano cosa rispondere”. Perché questo comportamento così insensibile di fronte al dolore immenso di Gesù? E’ un mistero.
Il Signore ci dice oggi che accompagnarlo nella preghiera, essere vigilanti e pregare con Lui, esige un’apertura totale alla volontà di Dio, come ha fatto Gesù. Esige anche donare la propria vita a favore della salvezza di tutti, impegnarsi per la salvezza del mondo e degli uomini. Forse gli apostoli non erano disposti a fare queste scelte. Lo siamo anche noi? L’Autore della Lettera agli Ebrei ci esorta: “Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sè una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete resistito ancora fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato…” (Eb 12,3-4).
Ecco, fratelli e sorelle, perché ci siamo riuniti al Getsemani a pregare: per accompagnare Gesù nella sua preghiera e per prendere coscienza della nostra responsabilità di essere partecipi con Lui nella salvezza del mondo. Tocca a noi essere conseguenti col nostro essere cristiani!


Abela J., Alliata E., Olteanu M. – © copyright CTS 2009


TRATTO DA http://198.62.75.4/opt/xampp/custodia/?p=2502

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